First review of the book:
Gigi Roggero, “Oltre ogni speranza negli spiriti animali del capitalismo digitale”, review of Animal Spirits: A Bestiary of the Commons, Il Manifesto, Italian newspaper, 4 Feb 2009.
§
Se nel passato il dominio mondiale si giocava nel controllo dei mari e del commercio internazionale, oggi la chiave dei rapporti di potere ruota attorno al controllo dello spazio e del cyberspazio, ovvero dei commons globali: questa è una delle tesi del Project for the New American Century del 2000. I neocon non hanno compreso, però, che nessuna linea di continuità può essere istituita: il «capitalismo 3.0», per citare il volume dell’uomo d’affari Peter Barnes recentemente tradotto dalla casa editrice Egea, si alimenta non dell’organizzazione, bensì della cattura della produzione del comune. Qui prende corpo il parassita, una delle «bestie» cui allude il sottotitolo del prezioso libro di Matteo Pasquinelli. Spostare il focus della critica alla knowledge economy dalla proprietà intellettuale ai rapporti di produzione: questa è la riuscita scommessa dall’autore. Muovendosi agilmente tra Bataille e Serres, tra le distopie di Ballard e Agamben, Pasquinelli passa al filo di un’analisi intelligentemente acuminata vari obiettivi polemici, tra cui Baudrillard, Zizek o Florida, nonché i troppo facili entusiasmi che suscitano nei movimenti concetti come «classe creativa» o le retoriche della rete. Tra queste spiccano il movimento Free Culture e il «digitalismo», che dipingono la comunicazione come uno spazio per natura orizzontale, libero dallo sfruttamento e dai rapporti capitalistici.
È allora l’indifferenza ai rapporti di produzione a spiegare l’inevitabile complicità tra l’utopismo mediattivista e il «capitalismo senza proprietà» dei creative commons, profetizzato dal giurista liberale Yochai Benkler e praticato dalle imprese del web 2.0. L’esempio del peer to peer è illuminante: la condivisione dei file musicali ha determinato l’obsolescenza del regime proprietario incardinato nei Cd ma, non riuscendo a costituirsi in autonomous commons, ha finito per promuovere il mercato degli MP3 e degli iPod. Insomma, la composizione della «guerra civile immateriale» in «conflitto di classe», ovvero il nodo gordiano che Pasquinelli individua nel capitalismo cognitivo, passa attraverso la capacità di autorganizzazione degli «spiriti animali» del lavoro vivo. Sottraendo la categoria di comune alle interpretazioni naturalistico- conservatrici per situarla nel «segreto laboratorio della produzione», l’autore disegna un nuovo campo di battaglia: qui pone la questione del «sabotaggio». Questo non può ovviamente assumere le forme del passato, mentre la sovrapposizione tra capitale fisso e variabile rende ancor più velleitaria ogni ipotesi neo-luddista. L’impegnativa evocazione serve soprattutto per appuntare l’urgenza politica della rottura dei dispositivi di cattura. Un problema, più che una soluzione, visto l’insufficienza politica della lotta di resistenza per conservare ciò che già esiste.
Animal Spirits apre nel mondo anglosassone un fondamentale terreno di lotta teorica oltre che di ricerca, rispetto alle interpretazioni «molli» dei Media Studies e le loro conseguenti declinazioni di movimento. Per lo stesso motivo è un libro di cui attendiamo una traduzione in un contesto, quello italiano, in cui quelle interpretazioni sono spesso importate con l’ulteriore vizio provincialista. Così, se il famoso slogan del mediattivismo – don’t hate the media, become the media (non odiora i media, diventa un media) – ha avuto un’indubbia efficacia innovativa nello sconfiggere nostalgie passatiste e tecnofobiche, ora Pasquinelli ne mostra – in avanti – il punto di limite. Senza «odio» e «spiriti animali» non si difendono l’amore per il comune e le sue istituzioni dalla cattura del parassita.